
Editing della voce: non è un filtro di Instagram
Quando facciamo l’editing del nostro podcast o del nostro audiolibro, rispettiamo la nostra voce o la modifichiamo?
Corriamo il rischio di perdere la nostra identità vocale quando facciamo un editing audio improprio o improvvisato?
Ne parliamo oggi, caffè alla mano, in Narratrice Nomade
Quando hai vent’anni non te ne frega molto della skincare: vai a letto truccata e quando ti svegli la mattina dopo, se possibile, il trucco è ancora più bello, con quell’aria un po’ rock, la matita sbavata (che fa sempre un po’ gli occhi alla Bambi), i capelli arruffati e, nel complesso, quell’atmosfera un po’ Kate Moss anni ‘90 che -sotto sotto- ci piaceva tanto.
A vent’anni la notte è magica.
Quando gli anni raddoppiano…beh…diciamo che dalla magia siamo passati alla zucca di Cenerentola: probabilmente te ne freghi comunque della skincare, quindi quando vai a letto truccata, la mattina dopo la matita si è fusa alle occhiaie e alle borse quindi passiamo da Bambi a Edgar (il maggiordomo della Carica dei 101 ndr); i capelli sono sempre arruffati ma, anche qui, siamo passate da Kate a…beh sempre Kate ma nei momenti peggiori. Ci aggiungiamo quella sana dose di “ho il reflusso perché ho mangiato la tal cosa ieri (che se anche tu devi praticamente fare i calcoli cabalistici per capire cosa ti fa o non ti fa male se lo mangi la sera, batti cinque alto) e/o tutta quella roba tipo cervicale/mal di schiena/mal di testa e i magici “oh-issa” involontari quando ti alzi dal letto….e otteniamo che, a quarant’anni, la notte è tragica.
Dai che sto scherzando, non è così tragica però, diciamo che ci accorgiamo di cambiare man mano (poi il rapporto che abbiamo con questo cambiamento è responsabilità individuale e non si discute) infatti, in uno degli ultimi incontri su Zoom che ho fatto, ho usato per comodità la webcam integrata del pc che ha tipo 14 pixel e quella scarsa definizione, con la luce un po’ spalmata e i contorni decisamente non nitidi e impietosi come quelli delle camere degli smartphone mi ha un po’ spiazzata.
Ok, la qualità video non era particolarmente eccelsa, ma il mix luce/ombre/scarsa definizione non faceva assolutamente capire la mia età né la mia condizione (che quel giorno ero reduce di insonnia feroce e sembravo la creatura del dottor Frankenstein) con il risultato che, se l’ego poteva anche dire “oh hey sembro più giovane”, coniglio e furetto (ricordo: rispettivamente il mio emisfero destro e sinistro) hanno iniziato a disquisire sul fatto che la mia immagine sembrasse ritoccata per sembrare più giovane, e quindi qual è il mio rapporto con l’invecchiare, e poi qual è il mio rapporto con la mia immagine, fino ad arrivare a “ok, ma tanto è una lezione sulla voce quindi chissenefrega di come mi vedono”.
Ma quel pensiero è diventato un retropensiero e si è sviluppato in questa puntata. Fatti un caffè che ti spiego.
Io ho vissuto vecchie macchine fotografiche con rullino (intendo i modelli dei comuni mortali, non quelle che erano già professionali per l’epoca) e ho una reazione “meraviglia” ogni volta che mi rendo conto di quanto alta sia la definizione dei nuovi sensori: vent’anni fa mica ti vedevi i pori della pelle nelle foto! Oggi non solo il dettaglio catturato è imbarazzante, ma ciascuno di noi ha a disposizione infiniti filtri con cui modificare in tempo reale il colore degli occhi o dei capelli, la dimensione delle labbra, l’incarnato, insomma: con un click diventiamo un’altra persona.
Se da un lato è un gioco divertente, dall’altro mi impensierisce un po’ perché i miei bisogni di corrispondenza (forse più coerenza) e autenticità si attivano: se ci abituiamo ad un’immagine di noi artefatta, riusciamo ad amare e accettare la nostra immagine reale e naturale?
E in anni di prodotto audio e relativo editing corriamo lo stesso rischio anche con la voce?
Te lo sai fatto il caffè? Bene, proseguo. Partiamo dal presupposto che poche persone sanno davvero fare editing della voce.
Non lo dico perché voglio parlare di competenze sulla bilancia, ma lo dico perché oggettivamente molte persone autodidatte sulla narrazione audio non sanno fare editing: imparano da qualche tutorial o da qualche consiglio. E siccome non parlo da nessun pulpito di sto cazzo te lo dico senza problemi che io per prima quando ho cominciato, facevo editing senza sapere come si fa editing e usavo programmi e plugin prima senza cognizione di causa, e poi sotto consiglio di amici musicisti. Dopo, e solo dopo, mi sono sparata lezioni private di editing della voce e poi un corso per tecnico del suono vero e proprio, quindi, di nuovo nessun pulpito: solo una scelta professionale e alcune considerazioni basate su cose vissute comuni a molte altre persone.
In pratica quando ho cominciato ero sul cosa e non sul come: sapevo a spanne cosa quel plugin avrebbe fatto ma non sapevo come sarebbe realmente intervenuto sulla traccia.
Ad oggi quando risento i vecchi audio trovo una marea di errori (e non ti credere: li trov anche i quelli nuovi, perché sono della vergine, quindi sono una perfezionista del cavolo e non sono mai contenta della resa del mio suono) rumori che avrei potuto togliere oppure, all’opposto, troppe frequenze tagliate; compressori usati a banana, gate impostati a cavolo, il de-esser questo sconosciuto e, soprattutto, l’equalizzatore.
Usato completamente -quasi completamente- senza sapere cosa fa un equalizzatore e cosa succede se tolgo o aggiungo quelle frequenze.
Capisci quindi che se dico che molta gente non sa fare editing intendo questo: che magari si segue il consiglio di chi ti dice “mettici un compressore a caso che ti fa la voce radiofonica” senza sapere cosa è un compressore, come si imposta, che effetto ha sulla voce e sul resto dei suoni.
Ed è normale,lo diceva anche Totò che non nasciamo imparati quindi, all’inizio, ci sta che si fanno le cose un po’ alla casalinga. (Ecco, poi magari un corsettino, due lezioni, giusto perché se vuoi fare un prodotto audio magari sapere come funzionano voce e suono può essere utile, eh?)
Ma quando cominciamo a smanettare con l’audio, con i plugin e i pippolini dei vari effetti, cosa succede alla nostra voce?
Perché qui casca l’asino, anzi il filtro.
Quando scopriamo che è possibile rimuovere rumori e respiri, diminuire le sibilanti, attenuare le plosive o gli schiocchi della bocca, aumentare o diminuire la nasalità o la brillantezza,t agliare le pause e giocare con le frequenza della voce per modificarne il timbro, rischiamo forse di “cambiare” troppo la nostra voce?
Il timbro è la nostra identità sonora; te ne ho già parlato in qualche puntata, ne scrivo sui miei social, nel blog di Mettiamoci la Voce, nelle formazioni, bla bla, quindi quando facciamo editing dovremmo avere cura di non modificare la struttura della nostra voce, ma lavorare su quei fattori che in cuffia possono danneggiare l’esperienza d’ascolto.
L’editing della voce dovrebbe essere di natura principalmente correttiva per eliminare quei fattori di disturbo nell’audio (famosi rumori di fondo, le P che ti arrivano nel cervello, le S che ti fanno lacrimare gli occhi…te l’ho detto che sono uditiva) e in minima parte, diciamo, stilistico per andare a rifinire, cesellare, abbellire moderatamente il suono.
Perché, è sbagliato cambiarsi la voce?
No, per l’amor del cielo, non sto parlando di giusto o di sbagliato, se ti piace l’idea di mascherare la tua voce chi sono io per dirti che fai bene o che fai male?
Ma se partiamo dal presupposto che la nostra voce è parte della nostra individualità, trascurare il suono o trattarlo al punto di rendere la nostra voce “diversa” quanto è efficace nella nostra comunicazione?
Perché sai, parliamo di relazione con il suono, di empatia nella voce, ora tutti hanno un podcast (anche io, guarda un po’) e quindi si espongono, si danno al mondo, si infilano nelle orecchie delle persone.
E quando il tuo messaggio è autentico, beh, anche la voce deve esserlo.
Ok che vogliamo dare un bellissimo biglietto da visita sul web e le foto professionali, magari per il tuo sito, non te le fai in modalità selfie ma chiami un fotografo…ma poi a quel fotografo in pos produzione non è che gli chiedi di metterti la faccia di Angelina Jolie o il corpo di Lenny Kravitz: sei tu, in una delle tue versioni migliori, non si discute, ma sei tu.
Con la voce è la stessa cosa: la tua voce può essere trattata in maniera efficace ma non dovrebbe mai venir compromessa nelle sue frequenze e nella sua naturalezza.
Perché la tua voce sei tu, e va rispettata come tale.
Non cadere nelle due trappole principali del non me frega niente o del non mi piace quindi la cambio; lavorare con la voce e sulla voce (quindi in editing e in post produzione) significa prendersene cura e saper restituire alla voce, quindi all’individuo, quel potere personale proprio del timbro, del proprio suono nel mondo.