Mi chiamo Valentina Ferraro, sul web ``La Musifavolista``, e mi prendo cura di storie, progetti e persone. Voce Narrante, Account Manager per Progetti Creativi e Customer Care Specialist, lavoro come freelance e questo è il posto migliore per conoscermi.

La Musifavolista > Blog  > Stereotipi vocali: voci (non) da copertina

Stereotipi vocali: voci (non) da copertina

Solo chi ha una bella voce può stare al microfono…sì ma cosa significa “bella” se parliamo di voce?
Esistono degli stereotipi vocali? E, se sì, quanto influenzano la nostra sicurezza nel parlare in pubblico e “far sentire” la nostra voce?
Ne chiacchieriamo in questa puntata di Narratrice Nomade.
Voce ospite: Sandro Ghini

Quando è uscito “Le Follie dell’Imperatore” avevo circa 16 anni e mi sono innamorata di quel film.
L’ho visto al cinema con Ilaria la mia migliore amica delle superiori e penso che in alcuni punti del film sia vergognata di essere al cinema con me: ridevo talmente tanto che mi sisentiva in tutta la sala. Ma che ci posso fare? A me fa morire dal ridere…tuttora!
Appena era uscito in vhs avevo implorato i miei di prenderlo e l’avevo fatto vedere ai miei fratelli (che non sono proprio miei fratelli di sangue, ma magari te ne parlo un’altra volta che è una storia lunga) insomma per farla breve: ho contagiato anche loro.
L’abbiamo visto centinaia di volte, ci divertivamo un casino a rifare le scenette di Yzma e Kronk; mio fratello Simone tuttora, quando guarda quel film, ripete tutte le battute a memoria.

TI capita di associare determinati film, canzoni, libri, ad un ricordo particolare o un momento particolare della vita?
Io lo faccio di continuo…
Ad esempio, un mio periodo di vita  difficile ma bellissimo in cui vivevo da sola, praticamente a ridosso di un fiume (in una casa microscopica ma piena zeppa di lucine che amavo alla follia) è fortemente legato al telfilm della HBO Penny Dreadful. L’hai visto?
Pazzesco: cast eccezionale, colonna sonora meravigliosa, storia intrecciatissima -e grazie al cielo si sono fermati alla terza stagione perché eravamo un po’ su quel filo per cui poi trascinano le storie e scatafasciano le serie e poi, va beh, hanno fatto anche i tarocchi di Vanessa Ives quindi che te lo dico a fare? Ho amato quella serie.
La cosa più strepitosa a mio avviso di Penny Dreadful è la recitazione di Eva Green, soprattutto -non voglio fare spoiler quindi starò attenta a dire solo cose che si sanno- soprattuto quando mostra le possessioni demoniache di Vanessa.
Il fatto che si dia totalmente alla recitazione mostrandoci tutta quella componente orrorifica, tragica, cattiva, grottesca e se vogliamo anche “brutta” di cui è capace mi ha sbalordita.
Ddiciamocelo, alcuni attori e alcuni attrici che sono particolarmente belli e belle, non sempre riescono a rendere ruoli in cui la loro bellezza non venga messa in primo piano, probabilmente perché scrivono proprio il ruolo per questo (o perché magari non danno loro la possibilità di mostrarsi non così belli e perfetti, questo non lo so quindi se sei esperta o esperto di questi argomenti mi fa piacere se mi contatti e me lo spieghi) quindi quando ho visto e vissuto questo mettersi in gioco totale, questo darsi in pasto al ruolo, sono rimasta affascinata.
E ho pensato a Yzma, alla voce di Yzma, della meravigliosa Anna Marchesini; e ho continuato a pensare: quante volte non mettiamo in gioco la voce? Quanto incide l’idea della bella voce nel modo in cui la usiamo, la ascoltiamo, la viviamo o addirittura la educhiamo?

Mi capita spesso e volentieri di parlare di voce, soprattutto nelle formazioni e di ribadire (e soprattutto sentir ribadire a Maria Grazia, che è anche docente teatrale quindi affronta la voce da angolazioni ancora più complesse delle mie) che si sente quando il lettore/attore/narratore si compiace della propria voce a scapito della resa del testo o dell’efficacia della lettura.
Un po’ come quelle forme di vanità per cui tizio sa di essere bello e si spara le pose come se fosse sulla cover di Men’s Healt di Maggio e invece è in Piazza Bausan dal Padellone, in fila per una fetta di pizza al trancio; ecco una roba del genere.
Ecco, facendo quindi un parallelismo con l’immagine, ci sono degli stereotipi vocali che condizionano la voce?
Sì, ovvio che sì. Ma quanto condizionano la voce?
La paura di parlare in pubblico è la terza fobia più diffusa al mondo e, al di là, di tutte quelle implicazioni emotive e psicologiche che ricordiamo, se sono invalidanti vanno lavorate nel contesto della relazione d’aiuto; non è che questi stereotipi vocali un po’ la influenzano questa paura?
Sai quando cresci in un contesto in cui la voce per essere considerata “bella” deve avere quelle determinate caratteristiche timbriche, se no non lo è; e se a questo sommi il fatto che la voce è portatrice di identità, non è che forse un pezzo della paura di parlare in pubblico è sostenuto dall’idea che se la tua voce non è bella (per come lo dicono loro -chi? boh, forse gli stessi dei rettiliani) allora non puoi “farla sentire”?

E con gli stereotipi che ci azzecca il discorso di Anna Marchesini e di Eva Green?

Senti che giro ha fatto il coniglio a molla del mio cervello destro per arrivarci: quando siamo abituati a considerare bella una voce principalmente quando è calda, vellutata, accogliente, anche un po’ sessualizzata (e vale per tutti generi, attenzione) che succede se io la voce ce l’ho nasale? O graffiata? Acuta? Grave? Se soffro di rotacismo?
E’ possibile che qualcuno di noi non si senta adeguata o adeguato a parlare in pubblico o al microfono perché la propria voce non sposa con quelle frequenze che inondano i nostri schermi?
Ho detto schermi perché, non so voi ma io guardo pochi film e serie, però utlimamente le voci che sento sono spesso davvero molto simili.

Ma tipo che se chiudi gli occhi non è immediato capire che personaggio sta parlando.
Ok, non si discute, ci sono oggettivamente belle voci, sarebbe stupido dire che tutte le voci sono belle uguali.
Ma è altrettanto stupido cristallizzare l’idea che solo quelle voci possano stare dietro ad un microfono.
Mettiamo un attimo da parte il discorso dell’efficacia, perché anche in questo caso ci sono componenti oggettive che rendono una voce più efficace di un’altra a seconda di determinate esigenze (però parliamo appunto di efficacia)
Per me rimane valido il claim dei miei colleghi: non esistono brutte voci, solo voci usate male.
Perché la voce è a tutti gli effetti identità vocale, identità sonora; è strettamente legata alla nostra individualità.

Il modo in cui la usiamo può di sicuro essere influenzato dalle nostre esperienze di vita (e spesso le racconta) ma il modo è conformata la nostra voce è un pezzo importante di noi.
Rappresenta il nostro parlare, il nostro suonare nel mondo in quanto creature libere e legittimate a esprimersi.
L’unicità della nostra voce (che è davvero unica come le impronte digitali) è un qualcosa di prezioso che scegliamo di dare al mondo.
Quando si comincia un percorso sulla voce, questa cosa è molto più immediata nel canto ma interessa anche il parlato, non si comincia a costruire: prima si smonta.
Si tolgono tutte le sovrastrutture che abbiamo piazzato sulla nostra voce (vuoi per imitazione, vuoi per istinto) e si tira fuori la voce vera, quella proprio piena di corpo di cuore, proprio la voce più autentica.
E su quella si costruisce, ci si allena, si impara, e poi ci si gioca.

E allora sì, quando non siamo costretti dalle tensioni o dallo stereotipo vocale, allora non abbiamo più paura e ci diamo in pasto, e diamo in pasto la nostra voce.
Al testo, al brano, al palco, al pubblico, al mondo intero, perché no?
Sono una forte sostenitrice dei podcast indipendenti, soprattutto quelli in cui gli autori/le autrici si mettono in gioco dietro al microfono e tirano fuori la loro vera voce.
Di solito chi fa un lavoro vocale, acquista un sacco di sicurezza in sé, e spesso e volentieri tira fuori sfumature della propria voce che non aveva mai sperimentato prima.

Ecco, tutte quelle sfumature non sono/non devono essere “belle” conformi, adeguate (ma adeguate a che?) ma devono essere libere.
Libere di giocare come faceva la Marchesini, come fa Petra Magoni dei Musica Nuda: la voce è viva ragazzi, si sporca, soffre, gioisce, manca e poi torna (però prendiamocene cura mi raccomando) ma è una parte potente dell’essere umano.

Non chiudiamo la voce in gabbia, non crediamo noi per primi che la voce “bella” è solo quella, perché siamo noi, noi individui a cristallizzare e rendere dannosi gli stereotipi, non è “la società” perché la società non un mostro tipo Godzilla che si aggira per la città. La facciamo noi con le nostre scelte.
E mi rendo conto che questo discorso è il vaso di Pandora (a proposito, devo ancora vedere Avatr) ma nasce qui, parlando di voce e sulla voce voglio rimanere.
Conoscila, amala, lavoraci per tirarla fuori e usala divertendoti.
Che di vita, e di voce ne abbiamo una sola