Mi chiamo Valentina Ferraro, sul web ``La Musifavolista``, e mi prendo cura di storie, progetti e persone. Voce Narrante, Account Manager per Progetti Creativi e Customer Care Specialist, lavoro come freelance e questo è il posto migliore per conoscermi.

La Musifavolista > Blog  > Voce e mindfulness: punti di contatto

Voce e mindfulness: punti di contatto

Nella voce e nella meditazione si fa ricerca, non si trovano verità assolute.
Nella voce e nella meditazione siamo tuttə esploratorə.

Lo studio della voce e la pratica della meditazione mindfulness hanno diversi punti di contatto che rafforzano vicendevolmente le qualità comuni, nella ricerca come nella comprensione dei meccanismi interni che muovono.

Dico spesso che impariamo a “stare nella voce” correlando la capacità di “stare” della meditazione -che sottende le capacità di ascoltare e accettare– all’emissione vocale, con la ferma convinzione che è solo abbandonando l’idea del controllo che possiamo liberare la voce.

Parlando di canto, il concetto del non-controllo esce in tutta la sua potenza nel canto improvvisato, libero e intuitivo; parlando di voce nell’uso espressivo del parlato, esperiamo il non-controllo nei giochi di improvvisazione, nella lettura all’impronta e, per quanto mi riguarda, nel Circle Reading.

Stare nella voce significa saperla ascoltare e accettare nella sua forma sonora, così com’è: quando la voce è stanca ha bisogno di riposare, quando è piena e vibrante ha bisogno di uscire in tutta la sua potenza, quando è ariosa ha bisogno di tempo e volumi moderati. Perché quando la voce ha bisogno di qualcosa, allora noi abbiamo bisogno di qualcosa: acqua, riposo, musica, farsi sentire, fare silenzio…

Spesso, quando la voce non risponde come vorremmo, ci arrabbiamo, ci sentiamo come se la voce non ubbidisse ai nostri comandi: entriamo in tensione, ci giudichiamo, ci sforziamo e sforziamo la voce, e mettiamo in atto tutta una serie di strategie -spesso fallimentari- per far sì che la voce faccia quello che vogliamo.

In qualche modo, finiamo per comportarci come se la nostra voce non la riconoscessimo o non la conoscessimo affatto, ti è mai capitato?

Stare nella voce, in questo senso, assume la valenza dello stare nel momento della meditazione. Ossia riuscire a ricavare uno spazio di ascolto profondo di ciò che è vivo in noi (e nella voce) e darci la possibilità di scegliere la risposta più funzionale, anziché agire una reazione disfunzionale in termini fisiologici ed emotivi.

Questo concetto, probabilmente astratto per qualcuno, prende corpo in una domanda che mi viene posta spesso nelle formazioni: “ma come capisco se sto usando bene il diaframma?/se sto usando bene la voce?”

La risposta è mentre accade, e sta tutta nella qualità della presenza e dell’ascolto che riesci a mettere nel gesto pneumo-fono-articolatorio; quanto riesci ad ascoltare il respiro, quanto senti le risonanze e le consonanze, quanta attenzione dai alla tua voce in termini di ascolto, entero-propriocezione e comprensione.

Quella capacità di ascolto profondo quanto immediato che sembra quasi non far intercorrere tempo tra quando una cosa accade e quando ce ne rendiamo conto. Se vuoi un esempio concreto è come accorgersi della puntura di una zanzara quando si manifesta il prurito, oppure accorgersene nello stesso istante in cui la zanzara (bastarda) inserisce la proboscide nella pelle.

Il mentre accade è il concetto di consapevolezza più facile da esperire nella midfulness.
Quando siamo in raccolta, seduti ad ascoltare il respiro, succede che la mente parte per la tangenziale e comincia a pensare alla lista della spesa, al dove abbiamo parcheggiato la macchina, al perché l’Algida fa pagare i Magnum il doppio ma sono grandi la metà…ecco, è esattamente quando ci accorgiamo di questi pensieri che inneschiamo la consapevolezza, perché torniamo al momento presente e possiamo scegliere di rimetterci in ascolto.

Meditare non significa “non far passare nessun pensiero” bensì saper cogliere il pensiero che arriva e accompagnarlo gentilmente nella dimensione dei pensieri, coltivando la disidentificazione.

Così come fare voce non significa “avere il controllo della voce” bensì conoscerla tant profondamente da fidarsi della saggezza del nostro corpo ed essere sempre pronti a scegliere la risposta migliore.

In ultimo un punto che mi sta a cuore.

Spesso i concetti di stare in quel che c’è, coltivare l’equanimità o lasciare andare, vengono visti e giudicati come concetti di arrendevolezza, ma non è così. Al contrario queste qualità sono strumenti al servizio della determinazione e dell’impegno individuale, perché ci consentono di vivere in maniera profonda e presente tutto quello che accade, bello o brutto che sia, e di sapersi orientare sempre verso la scelta consapevole.

Analogo ciò che accade alla voce: capire che quel suono, quella nota, quelle tre ore da passare al microfono ci attivano la reazione X, ci mette sempre in condizione di orientarci alla strategia migliore per suonare al voce in maniera consapevole.

Anche quando quel suono, a volte, diventa il silenzio.